fax +39.06.233200520 LA FELICITÁ E LE ABERRAZIONI
 

poesie 2001-2010

 
     
  Fabio D'Ambrosio Editore  

 

Milano, 2011  
  pag.64 - € 10

in vendita richiedendolo a illuminazioniweb@infinito.it

 
 

In copertina
© 2006 photo Franco Falasca
“Banskà Stiavnica (Slovacchia) - La miniera di Štộlňa Bartolomej”

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Alessandro Trigona - La felicità e le aberrazioni - Musikè Produzioni - video 2'07"

 

8 giugno 2011 - Biblioteca Vallicelliana, Roma - presentazione del volume "La felicità e le aberrazioni"
nell'ordine: Claudia Pagan, Francesco Muzzioli, Franco Falasca, Marcello Carlino


Recensione di JACQUELINE RISSET

La nozione di felicità non è tra quelle più frequentate dalla poesia contemporanea. Franco Falasca  invece prende questa nozione dimenticata per titolo, e la accompagna ad un’altra nozione,  questa al plurale, “le aberrazioni”. A partire da queste parole messe inaspettatamente insieme, si presenta alla memoria del lettore il ricordo di un universo letterario e filosofico in apparenza molto lontano dall’orizzonte di questo libro La felicità e le aberrazioni.

            In una parte poco nota dell’opera di Bataille, la parola “felicità” (bonheur) si rivela un potente centro di riflessione quando, intorno al testo Le pur bonheur, pubblicato in “Botteghe Oscure” XXI, nel 1958, costituisce sotto lo stesso titolo tutto un dossier di appunti vari (che saranno pubblicati postumi, nel dodicesimo volume delle Oeuvres complètes, Gallimard, 1988). “Le pur bonheur est dans l’instant”, scrive Bataille in “Botteghe Oscure”… “Esso è, nel senso più insensato, la poesia. Il linguaggio, intestarditosi in quel rifiuto che è la poesia, si volge contro se stesso”.

Non so se Franco Falasca concorderebbe con questa definizione, ma nel furore che anima i suoi versi, nelle enumerazioni inventive, pressanti, profondamente eterogenee che formano il tessuto del suo linguaggio poetico, avverto uno slancio simile a quel volgersi del linguaggio contro se stesso che è il bonheur di Bataille.

            Furore contro le “aberrazioni” multiple che invadono lo spazio mentale da ogni parte; furore contro una degradazione che si attacca al meccanismo ben oleato dell’immagine in copertina - fotografia di Falasca stesso,  che rappresenta un ingranaggio in perfetto stato di funzionamento, dai bei colori che ricordano insieme Fernand Léger e i costruttivisti russi. Una degradazione è avvenuta di fronte al “rimato e bituminoso occhio di illuminista allampanato”.  Tra esseri e oggetti del mondo i rapporti prendono la forma di incubo e di assenza:

            “le liane riflettevano sui segni assenti
            come incubo ricorrente del nulla potenziale”

Si afferma tranquillamente ormai un senso di fine, di fine di senso:

“Che non v’è tragedia è l’ultima tragedia”

E la poesia si sviluppa in associazioni sorprendenti, ossimori zoppicanti, metafore ripudiate:

“le differenze nullificate da una luna retorica”.

Ogni tanto, si presenta uno spettacolo:

“il fanciullino rovescia montagnette di rifiuti
            sugli assembramenti di comunisti vocianti
            nella perenne aporia della storia”

 E questi versi ricordano l’inizio della Divina Mimesis di Pasolini, quando in una periferia romana domenicale illuminata dal sole il pellegrino Dante-Pierpaolo riconosce da lontano un comizio di Togliatti. Ma

 “l’inganno simbolico è anticomunista,
            e il senso ruota dentro un cono
            di rivoluzioni d’acciaio, incompiuto.”

(forse il cono dell’immagine  in copertina). “Luna retorica”, “fanciullino”, “inganno simbolico” complottano insieme. Avviene una degradazione proprio lì

 “nel comunismo divorante delle idiozie vaticane”

Rivolta del poeta:

“Questa non è arte
            e questa non è poesia
            e questa non è gioia
            e questo non è sapere
            e questo non è l’essere
            e questo non è l’uomo
            e questa non è l’intelligenza
            e questo non è il tempo,
            mi stai ingannando come uno stupido”

Sicchè restano ormai in vista  solo rovine di vita e rovine di poesia:

 “luce d’amore spietata, osso di seppia distrutto”

Tuttavia una speranza si delinea; la speranza in un risveglio filosofico:

 “e si sveglino finalmente le sospirate
            filosofie” 

Il poeta si scopre destinato al ruolo di osservatore leopardiano

 “a caso estratto affinché ti vedessi,
             iperbrivido del nulla costante”

Ciò che egli prova è un’oscillazione continua tra la sicurezza intellettiva dell’esperienza che gli fa affermare:

             “se passeggera è l’estasi , non passeggero è il senso dell’estasi”

e una percezione infantil-zanzottiana della scomparsa finale del mondo:

               “in punta di piedi, ti sento, o mondo, sparire”.

Fino alla fine (ultima poesia, “Il filosofo sulla veranda”), rabbia cristallina e silenziosa lucidità si ritirano insieme modestamente, con gesto gentile, nella nebbia che le cancella insieme:

                “… dinanzi alle dimore
                del dio ribelle, colmo di rabbia cristallina
                in un inefficace squarcio della mente lucida,
                un caduco siparietto,
                in una valle senza nome”.

 Jacqueline Risset


Recensione di GIULIA NICCOLAI, pubblicata sulla rivista "IL VERRI" n.49 giugno 2012


9 giugno 2012 - Conservatorio di Musica "Licinio Refice", Frosinone - presentazione del volume "La felicità e le aberrazioni"
nell'ordine: Francesca Fiorletta, Franco Falasca, Marcello Carlino


Recensione di FRANCESCA FIORLETTA, pubblicata sulla rivista "LE RETI DI DEDALUS" (Rivista online del SINDACATO NAZIONALE SCRITTORI), anno VI, luglio 2011                                                                                          

L'ultima raccolta di Franco Falasca, La felicità e le aberrazioni, collaziona la produzione di un decennio poetico, dal 2001 al 2010, appunto, di un autore visivamente poliedrico e squisitamente analitico, che disseziona, in quest’ultimo libro, particolarmente, il groviglio nominalistico della lingua italiana, accostandolo alla naturalistica fisiologia del vivere quotidiano.
Raggruppati, dunque, i più impressionistici sbalzi sinestetici dell’oggettualità materialistica in una (sovra)esposizione terminologica ideologicamente, mordacemente marcata, Falasca slabbra, con indomita pacatezza (auto)ironica, le varie determinazioni dell’esistere, in un asistolico vortice dialettico, che si abbevera, senza soluzione di continuità, di ossimori fraudolenti, di rimandi ossessivi, di compulsioni dubitative:

Vita che altra Vita non ha,
Senso che altro Senso non ha,
Poesia che altra Poesia non vede.

Ecco che riappare, vividamente sottolineata, la categorica preminenza della vista, intesa quale capacità d’osservazione, di raccoglimento esperenziale, di indagine critica e figurativa sulla realtà sociale, politica e privatissima dell'essere umano. E dell’essere, innanzi tutto, artista, interprete del pensiero (dominante?) e demiurgo delle iterative interazioni del comunicabile:

la dicibilità crea un sistema falso ma dimostrabile;

Perciò, la versificazione di Falasca si immola in coloristiche pennellate di dissenso, articolate, talvolta, in aberranti – appunto! – rimbrotti deflagranti, scagliati, con sarcastica educazione, contro una qualche stolida stoltezza antropomorfica, svelata proprio da quelle compiacenti sembianze fallaci e dall’ipercorrettismo dell’innominabile silenzio, coi quali si tenderebbe, oggi, a livellare ogni grado di differenziazione soggettiva, nella smania di etichettare i non canonizzati esperimenti ragionativi individuali, come fossero poc’altro che bellicosi puntigli partitici, strutturali atti aprioristici “Maledetti e inopportuni”.

Il degrado, dunque, il malcontento, lo sconforto: nella ricerca della felicità immanente, non resta da sciogliere che un unico, trascendentale, spasmodico “Rebus”:

Il senso aggirandolo
si arrende
oppure si vendica?

Francesca Fiorletta


È un'opera optima, rientrante a pieno titolo nell'interessante "manifesto" programmatico dell'Editrice milanese, laddove si legge: "Fabio D'Ambrosio pubblica testi di letteratura, saggistica e libri d'arte di autori d'avanguardia contemporanei. L'avanguardia è un'azione propositiva e innovativa rispetto alla contemporaneità. È gesto di comunicazione sociale e analisi critica che (...) si concreta nella realizzazione di prodotti nei quali la ricerca espressiva (formale e contenutistica) viene spinta all'estremo, portata ai massimi risultati, al fine di consentire la maggior aderenza alle sfaccettature del reale e il più proficuo scambio interdisciplinare." Intensa e coinvolgente, la raccolta è densa di contenuti stratificati su più livelli, anche se attentissima a non trascurare - anzi a rendere ben palesi ed espliciti - gli intenti corrosivi, provocatori e, direi, "accusatori" e/o "imperativi" di ogni singola enunciazione poetica:
"Non nominare l'essere | non nominare l'insalata | non nominare l'esegesi | non nominare la perifrasi, il bullone, lo spirito (...)".
La semplicità è voluta e pertanto solo apparente, perché capace, con sagacia e tenacia, di neutralizzare le aberrazioni del sistema, in primis quello economico-mediatico (e di conseguenza sociale e politico), nell'attimo stesso in cui utilizza - ribaltandoli e confondendoli - certi fittizi metri di giudizio resi standardizzati, distorti ed abnormi per effetto di parametri congegnati ad arte.
Altrove si avverte l'urgenza di scardinare, disgregare vincoli e impedimenti - materiali o psicologici, tangibili o potenziali - che occludono la piena percezione della realtà delle cose:
"La soglia del sonno incauto | sul taccuino verde | l'ora in cui sapesti | l'ora in cui vedesti | l'ora dalle scaglie lunari | incauta | oltraggiosa | divina | risaputa | obbediente | raggomitolata nei dizionari | nelle sale da concerto (...)" (da L'intelligenza).
Sono barriere per l'appunto "culturali" (nel senso pieno e totale del termine) – difficili da individuare e da rimuovere - che pertanto abbracciano i diversi ambiti del vivere il fatto culturale in sé (dalla religiosità alla scienza), con tutti i timori e le ansie che ciò comporta, anche se poi è alla stessa "cultura" che tutto riconduce:
"Dice il filosofo che la vita è un segnale d'allarme | senza allarme e senza segnale | e se la speranza è l'ultima a morire | l'allarme è il primo a suonare (...)" (da II filosofo sulla veranda).
In questo "caduco siparietto", il conflitto vero sembra ridursi, in definitiva, più che a quello tra cultura e incultura, all'altro, più elementare ma irrisolvibile, tra "intelligenza" e "stupidità". Ed infatti, sui variegati aspetti dell'idiozia Falasca indugia - solidalmente (forse, egli stesso da "ex-filosofo") tentato da troppe avversità - con puntigliosa dovizia di raffigurazioni: dal "tergiversare dei giocondi" al "cretino metallizzato" al nostro comunissimo "imbecille persistere".
 

Francesco De Napoli



 

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