NOTIZIE
 


Oggi mercoledì 22 febbraio 2006 è venuto a mancare all'affetto dei suoi cari e degli amici letterati, il poeta FRANCO CAPASSO

E' scritto nella memoria dei nostri gameti
                                       il senso riposto di noi
L'algoritmia segnica dell'errare
                                        per porti e radure a scrivere
                                        la nostra esistenza
                                        fatta di tenebra feconda
Inutili sono stati gli sforzi per cancellare
                                        quella memoria
                                    Inutile è stata quella luce
                                       infiorata nel suono delle parole
                                    morte nello schianto
                                                della voce
                                non più nostra

                                                nel suo segno estremo
                                                nella sua luce spenta

da COLORI, Marcus Edizioni, Napoli, 2004, pag. 144

Franco Capasso, nato a Ottaviano (Napoli) nel 1935, vissuto a Terracina, morto nel 2006 nell'ospedale di Pompei.
Ha fatto parte della redazione di Pianura diretta da Sebastiano Vassalli, della rivista Oltranza diretta da Ciro Vitiello, e della rivista Secondo Tempo diretta da Alessandro Carandente.
Ha pubblicato le raccolte di versi:

Punto barometrico, Pianura / Itinerari, Ivrea, 1976
La violenza simbolica, Pianura n. 2 (gennaio 1977)
Germinario, Altri Termini, Napoli, 1979
Il segno e l'incisione, Il Bagatto, Bergamo, 1980
Orme sul lago salato, Edizioni Altri Termini, Napoli 1983, prefazione di Dario Bellezza
Febbre, Edizione Ripostes, Salerno 1985, prefazione di C. Bàrberi Squarotti e R. Giorgi
Storie di vite con ripiani,Alfredo Guida Editore, Napoli 1991, prefazione di G.B.Nazzaro
Natàlia, Edizioni Ripostes, Salerno 1993
Poesie del fuoco, Marcus Edizioni, Napoli, 2000, prefazione di Marcello Carlino e postazione di A.Carandente
La luce ha piedi sonori, Filo d'Arianna, Napoli, 2000
Codici, Signum Edizioni d'Arte, Bergamo, 2001
Miraggi, Fermenti Editrice, Roma, 2003, prefazione di Francesco Muzzioli
Dei Colori, Marcus Edizioni, Napoli, 2004, prefazione di Marcello Carlino e Giorgio Patrizi
 

Ha collaborato a riviste italiane e straniere.
 
E' presente nelle seguenti antologie:

Le printemps italien. Poésies des annés '70, a cura di J-Ch. Vegliante
(Action poetique, n 71, 1977)

La violenza simbolica, Pianura n. 2 - gennaio 1977 Uno
Testi e antitesti di poesia (Altri termini, Napoli, 1978)
Sperimentazione linguistica e poesia a Napoli 1960/1980, a cura di L. Caruso (Ellisse, Napoli, 1979)
Poesia della voce e del corpo, a cura di M. D'Ambrosio e F. Piemontese (Pironti, Napoli 1980)
Una rosa è una rosa e una rosa. Antologia della poesia lineare italiana 1960/1980, a cura di Sarenco e F.Verdi (Factotumbook 25, Verona 1980)
Altro Polo, a cura di R. Perrotta (University of Sydney, 1980)
Poesia italiana oggi, a cura di M. Lunetta (Netwton Compton Editori, Roma, 1981)
Perverso controverso, a cura di M. D'Ambrosio (Shakespeare & Company, Milano1981)
L'affermazione negata, a cura di M. D'Ambrosio (Guida Editori, Napoli 1984)
Le proporzioni poetiche, a cura di D. Cara (Laboratorio delle arti, Milano, 1985)
Agenda del poeta, Edizioni Genesi, Torino, 1985
Letteratura degli anni Ottanta a cura di F. Bettini M. Lunetta, e F. Muzioli (edizioni Bastogi, Foggia 1985)
Verso Roma, Roma in versi, a cura di M. Lunetta (Lucarini Editore, Roma 1986)
Il principio della parola, a cura di Ettore Bonessio di Terzet, Raffaele Perrotta (Japadre Editore, L'Aquila, 1988)
F. Piemontese, Autodizionario degli scrittori italiani, Leonardo, Milano, 1989
Domenico Cara, Traversata dell'azzardo, L'illusione irrazionale nella poesia degli anni ottanta, Forum Quinta Generazione, Forlì, 1990
In my end is my beginning. I poeti italiani negli anni Ottanta/Novanta, a cura di A. Tesauro, Edizioni Ripostes, Salerno, 1992
Progetto di curva e di volo, a cura di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti, Milano 1994
Alessandro Carandente, Il turno, Ilitia Edizioni, Napoli, 1996
Ordo Italicus, L'assedio della poesia, a cura di Ettore Bonessio di Terzet, Napoli, 1999
Mare e Poeti, a cura di Maria Teresa Cucino, La Fabbrica Felice, Cetara, 1999
Ferdinando Albertazzi, Infanzie, Over Studio, Torino 2002
Alessandro Carandente, Il paradosso dell'evidenza, saggi e interventi 1985-2001, Marcus Edizioni, Napoli, 2002
Mario M.Gabriele, La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli), Nuova Letteratura, Campobasso, 2004
Almanacco Odradek 2006, a cura di Francesco Muzzioli e Mario Lunetta, Odradek Edizioni, Roma, 2006

E’ stato tradotto in francese, inglese, greco moderno. Ha partecipato a mostre di poesia visuale, festivals e incontri di poesia in tutta Italia.


 

 

 


IL MESSAGGERO

Lunedì 3 Febbraio 2003

Appelli/Un giacimento inestimabile di cultura. E’ qui che è nata Uruk, prima città della storia
Per l’Iraq, culla dell’umanità, intervenga l’Unesco

di PAOLO MATTHIAE
MALGRADO ogni crescente sforzo in favore della pace, sempre più probabile appare che nelle prossime settimane non si riesca ad evitare la guerra in Iraq.
Nuove sofferenze si abbatteranno su popolazioni civili già duramente provate in un Paese ancora pochi anni fa assai prospero ed oggi ridotto alla miseria nonostante la sua straordinaria ricchezza petrolifera. Ma i dibattiti sugli scenari politici comunque difficilmente prevedibili e le angosce per situazioni umanitarie comunque di grave emergenza fanno dimenticare che cosa abbia rappresentato il territorio dell’Iraq per la storia dell’umanità e quale inestimabile e irrinunciabile giacimento culturale esso sia ancora per gli uomini del XXI secolo.
L’estesa piana alluvionale tra Bagdad a Nord e Bassora a Sud, la Babilonia degli antichi, è la terra che ha il singolare ed unico privilegio di aver ospitato le prime città della storia umana. Come, negli stessi decenni, nella seconda metà del IV millennio a.C., nella valle del Nilo si affermava con la monarchia dei faraoni la più antica forma di Stato territoriale, così nell’alluvio dell’Eufrate e del Tigri si svilupparono i primi centri urbani della storia del pianeta.
Processi di innovazione di portata epocale nella struttura sociale, dalla specializzazione dei mestieri all’articolazione in classi, accompagnarono il realizzarsi delle città della Mesopotamia dei Sumeri e degli Accadi. L’organizzazione razionale del sistema produttivo fondato sull’accumulo delle eccedenze agricole, la strutturazione di una complessa ed efficiente burocrazia di governo, il consolidamento di tecnologie avanzate soprattutto nella metallurgia, l’elaborazione del cuneiforme che con il geroglifico egiziano è la più antica scrittura dell’umanità, l’affermarsi dell’architettura monumentale e delle arti figurative come mezzi privilegiati dell’espressione simbolica sono solo alcune tra le principali conquiste delle genti della più antica Mesopotamia urbanizzata.
Nei paesi di Sumer e di Accad per tre millenni di storia tra l’ascesa di Uruk, la prima città della storia, e la conquista di Alessandro, che proprio Babilonia elesse a sua capitale, città senza numero fiorirono e decaddero. Centinaia di migliaia di testi cuneiformi, amministrativi, letterari, scientifici, giuridici, lessicali, sono uno dei lasciti più impressionanti della Mesopotamia da un secolo e mezzo restituiti incessantemente dalla terra dell’Iraq alla scienza storica contemporanea.
Ciò nonostante, probabilmente è finora tornato alla luce non più dell’uno per cento dei tesori dell’antica Mesopotamia che si possono oggi ammirare nei musei di Londra, di Parigi, di Berlino, di Philadelphia, di New York, di Chicago, di Bagdad, per non citare che i maggiori. La scoperta a Nimrud dieci anni fa, ad opera di archeologi iracheni, delle ricchissime tombe delle regine d’Assiria del IX-VIII secolo a.C. è seconda soltanto al ritrovamento della tomba di Tutankhamon nel XX secolo. Già i bombardamenti della guerra del Golfo sfiorarono l’area monumentale di Ur, la metropoli sumerica che i testi biblici citano come la patria di Abramo e l’attenuato controllo del territorio negli anni successivi ha consentito un inammissibile saccheggio di famosi centri sumerici come Umma, Adab, Lagash per alimentare il mercato antiquario.
Il rischio cui oggi è esposta la terra della millenaria Mesopotamia è quello di una devastazione senza confronti con perdite incalcolabili per il patrimonio culturale dell’umanità. Questo patrimonio deve essere protetto e salvaguardato ad ogni costo per le generazioni future.
L’Unesco con un provvedimento urgente d’emergenza proclami unilateralmente e unanimemente le intere regioni della Babilonia nel Sud e dell’Assiria nel Nord dell’Iraq patrimonio mondiale con tutte quelle tutele, internazionalmente riconosciute dalle convenzioni e dalle dichiarazioni dello stesso Unesco, che un tale provvedimento comporta. E l’Unione Europea si faccia promotrice di un provvedimento che vincoli al rispetto e alla conservazione di un bene culturale tra i più preziosi presenti sul pianeta.

 


IL MESSAGGERO

Venerd' 17 Gennaio 2003

Rieti. E’ morto all’ospedale De Lellis
Addio a Emilio Villa, poeta e cantore della critica d’arte

Il poeta e critico d’arte Emilio Villa è morto all'ospedale di Rieti all'età di 88 anni. Da circa due anni viveva in una casa di riposo del capoluogo sabino, dove l'altra sera si è sentito male. Nato nel 1914 ad Affori (Milano), Villa ha vissuto a Firenze, Milano, San Paolo del Brasile e a Roma. Dal 1936 è stato in rapporto con le avanguardie artistiche e con la corrente poetica dell'Ermetismo, ma, emarginato dal regime fascista, si dedicò alla filologia semitica e greca, pubblicando traduzioni dall'assiro, dall'ugaritico, dal greco e dal latino. Oltre a traduzioni dell'Odissea, di poemi di Lucrezio e di Saffo, ha curato anche raccolte di poeti primitivi nordamericani. Villa è stato creatore e animatore di numerose riviste d'avanguardia sia in Brasile che in Italia, come "Habitat, "Onivel", "Arti visive", "Appia", "Ex". Su riviste e pubblicazioni tirate in poche copie e difficilmente reperibili è dispersa la produzione poetica che Villa ha iniziato a raccogliere in volumi solo alla fine degli anni ’80, "Opere poetiche" pubblicato nel 1989, con cui ha vinto il premio Mondello nel ’90. I saggi di critica militante sull'arte contemporanea sono raccolti nel volume "Attributi dell'arte odierna" - (1947-1967), pubblicato da Feltrinelli nel 1970.


IL MESSAGGERO

Domenica 24 Novembre 2002

E’ morto a Civitavecchia lo scultore cileno. Aveva 92 anni. Fu anche architetto e pittore
Addio a Matta, maestro delle forme. Con il soffio della poesia

di COSTANZO COSTANTINI
CI VORREBBE un esperto di numerologia per interpretare le singolari coincidenze che segnarono la nascita di Roberto Sebastian Antonio Matta Echaurren, l’architetto, pittore e scultore spentosi a Civitavecchia (il maestro viveva da tempo a Tarquinia) all’età di 92 anni: nacque l’11,11,1911, a Santiago del Cile. Fu forse da quei tre 11 che derivò il suo umore bizzarro, lunare, eccentrico, la sua vena caustica, iconoclastica, la sua genialità e la sua energia scalpitanti e inesauribili. Studiò dai gesuiti e si laureò in architettura, dopodiché, nel ’33 salì a bordo d’una nave della marina mercantile che lo condusse in Jugoslavia, in Grecia e in Italia, prima che approdasse in Francia e si stabilisse a Parigi, dove nel ’34 entrava nello studio di Le Corbusier e quindi nel movimento surrealista. «Trascorsi in Italia tutta l’estate del ’33», ricordava. «A Firenze incominciai a studiare gli artisti del Rinascimento, specialmente Leonardo, che dava una grande importanza alle macchie che l’umidità forma sui muri. Sul suo esempio, presi ad imprimere sulla tela delle macchie, facendovi scorrere casualmente i colori. Volevo creare uno spazio nel quale verificare come funzionava l’inconscio, la creatività spontanea, l’immaginazione allo stato puro».
Nello stesso ’34 si recò a Madrid, dove un amico lo presentò a Garcia Lorca, il quale, vedendo che faceva degli scarabocchi, pensò che volesse fare il pittore, gli regalò una copia del Pianto di Sanchez Mejias e vi scrisse su due righe con le quali lo presentava a Dalì. Dalì, credendo anche lui che volesse fare il pittore, gli regalò una sua lito sulla quale scrisse due righe con le quali lo presentava a Breton il pontefice del Surrealismo. «Ma io», commentava con la sua autoironia, «non sapevo né chi fosse Garcia Lorca, né chi fosse Dalì, né chi fosse Breton, né che cosa fosse il Surrealismo. Io volevo fare l’architetto, l’architetto della distruzione, come Picasso aveva fatto il pittore della distruzione. Tuttavia Breton, che era un uomo ottuso e dispotico, mi arruolò nel suo movimento, ma il Surrealismo era diventato una chiesa e io ne venni espulso come eretico, come in seguito, nel dopoguerra, quando mi trasferii a New York, venni scomunicato da un’altra chiesa, la sedicente scuola di New York».
Se Breton lo aveva espulso dal movimento per “squalifica intellettuale e ignominia morale", la scuola di New York fece di peggio: lo squalificò artisticamente, ricoprendolo di insulti feroci. «La scuola di New York», proclamava, «era una scuola di m... Nessuno di quelli che in seguito vennero chiamati espressionisti astratti, da Pollock e Gorky, capiva nulla di quello che io facevo sull’esempio di Leonardo. Presero a imitarmi, ma nella maniera più maldestra possibile. Così presero a detestarmi».
Espulso dalla scuola di New York, si ritirò in campagna, dove passava il tempo a leggere le idiozie che scrivevano su di lui. Scrissero, fra l’altro, che Gorky si era ucciso perché lui era andato a letto con la moglie. «Se si fossero dovuti uccidere i mariti di tutte le donne con le quali andavo a letto», diceva con irrisione, «sarebbe stata una ecatombe, con suicidio collettivo. Mi dipingevano come un nuovo Cogliostro, un nuovo Casanova, un nuovo Rasputin per denigrarmi». Fatto sta che ebbe quattro mogli e innumerevoli amanti e che dall’attrice Angela Faranda ebbe un figlio, Pablo, che fa anche lui il pittore.
Tornato nel dopoguerra in Europa, si divise fra Roma e Parigi, lavorando senza tregua, avversando tutti coloro, a cominciare da Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, che nella capitale italiana avevano spalancato le porte all’arte americana. Dichiarava. «Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan, che era un pessimo storico dell’arte, crearono una specie di Piano Marshall pseudoartistico. Lo spazio dinamico e veloce dei futuristi, la poetica di De Chirico e Savinio vennero abbandonati. De Chirico era un grande creatore, un grande artista, il più importante di tutti, ma poiché non veniva capito, rinnegò se stesso, mettendosi a fare dell’accademismo noioso».
In seguito acquistò a Tarquinia un ex convento settecentesco, già dei padri passionisti dove assistito dalla sua quarta moglie, Germana Ferrari, creò alcuni dei suoi capolavori, quali Elle loge la folie, My Tology, Odisseano, Coigitum, Italia Matta. Si alzava all’alba come se fosse anche lui un monaco, faceva una passeggiata nei boschi ed entrava nello studio, ricavato dalla chiesa dell’ex convento. Vi realizzò fra l’altro Verbo America, un obelisco alto dieci metri che venne collocato, per le celebrazioni colombiane, in alcune grandi città dei cinque continenti, quale segno di pace e di amicizia fra i popoli.
Dalle prime Morfologie psicologiche a Pista favolosa della morte, da Ascoltare vivere a La vertigine di Eros, dai Dubbi dei tre mondi a Lo spazio della specie, da L’uomo discende dal segno alle Morfologie verbali, Roberto Sebastian Antonio Matta Echaurren ha realizzato, come pittore, scultore e architetto, un’opera gigantesca, alla stregua di Picasso, Moore, Chillida, Caro, Manzù e altri titanici creatori moderni. Diceva: «Io sono un figlio dell’Immacolata Concezione, cioè della Poesia. Una volta gli artisti, per compiacere il Potere, facevano i ritratti dei re e delle regine, ma gli artisti di oggi ritraggono la Coca Cola e la Soup Campbell, le minestre riscaldate, le zuppe immangiabili. Non ci sono più artisti che avvertano il soffio della Poesia. Dalì era l’Avida dollars. Picasso era anche lui una vedette: da solo faceva dei quadri accademici, in contatto con i francesi si scatenava. L’arte è morta. Ma l’Angelo è suscettibile. Se lo tradisci, ti abbandona, e non ti resta che il successo e il denaro, cioè il Nulla».


Il Manifesto -  10 agosto 2002

Stamani, con una sobria, commossa cerimonia laica nel Pantheon della Certosa di Bologna i familiari, gli amici, i colleghi dell'Università, gli allievi hanno dato l'estremo addio a uno dei piu' schivi ma certamente uno dei piu' fini e brillanti critici letterari italiani: Guido Guglielmi, morto d'improvviso qui a Bologna giovedi' scorso all'eta' di 72 anni. L'atteggiamento sempre un po' appartato di Guglielmi e l'inevitabile distrazione agostana dei giornali non hanno consentito che venisse riconosciuta pubblicamente la gravità della perdita e l'importanza del suo contributo, spesso molto originale, alle vicende della storia intellettuale italiana, dal Gruppo 63 alle iniziative piu' recenti del "Verri", la rivista fondata da Anceschi, dai seminari di teoria della letteratura organizzati a Siena da Romano Luperini alle riunioni reggiane di "Ricercare" promosse da Renato Barilli. Restano, nei cataloghi dei maggiori editori italiani (soprattutto Einaudi) i suoi studi sulla modernita' letteraria, sull'avanguardia, su Leopardi, Palazzeschi, Ungaretti, Svevo, Pasolini, Calvino. Resta il suo ultimo libro, che propone una ricostruzione storica acuta e convincente delle vicende della poesia italiana del Novecento: *L'invenzione della letteratura: modernismo e avanguardia* (Napoli, Liguori, 2001). Guglielmi si stava preparando a partire per gli Stati Uniti, come visiting professor presso l'Università di Yale, dove era già stato in passato, e negli ultimi tempi parlava con entusiasmo di questa suo nuova avventura, che la morte ha reso impossibile.
Nato a Rimini, ma divenuto bolognese al tempo degli studi universitari e poi della carriera di professore, Guglielmi è stato uno straordinario interlocutore per tanti di noi suoi colleghi, dotato di un'acribia unica, di una acutissima penetrazione critica e di una straordinaria passione per le idee anche le più azzardate, che apparivano spesso sorprendenti, ma rivelavano d'improvviso aspetti nascosti di un problema intellettuale che ad altri erano sfuggiti. E' stato, inoltre, un professore amatissimo per i suoi allievi, i quali tutti ricordano il fascino straordinario delle sue lezioni, cosi' come tutti noi ricordiamo la sua voce ironica e affettuosa, i suoi modi apparentemente distratti, le sue osservazioni fatte con nonchalance, spesso apparentemente marginali, che d'improvviso illuminavano il centro di una questione.
Nella cerimonia di stamani, seguendo il modello delle comunità laiche o di quelle religiose dai riti più austeri, le persone raccolte nello spoglio salone del monumentale cimitero bolognese, familiari, amici, allievi si sono avvicendati nel prendere la parola, per dividere insieme un ricordo, un aneddoto, un'immagine di lui: un modo molto coraggioso e lucido di aiutarsi reciprocamente a elaborare il lutto e a trasformare una vita in viva memoria. Il fratello Angelo, il cognato Carlo Flamigni, l'amico e compagno di studi Stefano Agosti, i colleghi dell'Università, gli allievi, alcuni amici hanno a turno ricordato qualche aspetto del carattere di Guglielmi, il suo modo di avviare o negare un rapporto, di affrontare una discussione, la sua passione intellettuale vivissima accompagnata a una straordinaria trascuratezza di sé, la sua inesauribile curiosità. Mi permetto anch'io un ricordo, facendo mio lo spirito con cui questa mattina gli abbiamo detto addio. Si era nel momento culminante delle discussioni attorno alla riforma Berlinguer, quella nota come tre più due, e i consigli di facoltà e i dipartimenti delle nostre università erano impegnati in discussioni animate e confuse (che ora forse rimpiangiamo, nella nuova atmosfera creata dal ministero Moratti). Ho incontrato Guido davanti allo sgabuzzo delle cassette postali del nostro dipartimento, da cui usciva con in mano un fascio di lettere, giornali, circolari che stava strappando e leggendo alla rinfusa. Mi prese per un braccio e d'improvviso mi chiese: "Senti, carissimo, tu che sei addentro a queste cose, ma che cos'è questo MURST che mi scrive così spesso?" Io, ingenuo e preso alla sprovvista, mi misi a spiegargli pazientemente: "Ma e' il ministero della pubblica istruzione, sai quello da cui tutti dipendiamo, che organizza i concorsi, finanzia le universitù, stabilisce i programmi". E lui, sempre tenendomi per il braccio e avvicinandosi anche di più: "Non ci sarà mica qualcosa di nuovo, vero?".Non ho mai saputo se facesse sul serio, se cioe' davvero ignorasse cosa fosse il MURST, frequentatissimo in quei giorni da tutti noi via internet, se davvero ignorasse che era in corso una grande discussione su una riforma radicale dell'Università, o se quel suo gesto fosse molto ironico, e un po' complice, e fosse da interpretare come una presa di distanza da un progetto di riforma che non gli piaceva e che per di più veniva da gruppi politici ai quali era ideologicamente vicino, un invito a lasciar perdere e continuare a occuparci dei nostri studenti e delle nostre passioni intellettuali.

Remo Ceserani



 

 

MODE Dalla Groenlandia al Perù, c’è chi abbandona volumi dovunque perché siano letti e scambiati. E su Internet si aggiorna la catena dei lettori

Se ami un libro, affidalo al vento: è tempo di «bookcrossing»


 

Se ami un libro, lascialo libero. Non costringerlo negli spazi soffocanti di uno scaffale: leggilo, e poi abbandonalo sulla panchina del parco, in metropolitana, al caffè, in spiaggia, al cinema. La libreria più bella è il mondo intero, e qui i libri non costano un centesimo. Il bookcrossing è nato nell’aprile 2001 grazie a un 36enne di Kansas City, Ron Hornbaker, e oltre 30 mila persone in tutto il mondo hanno già trovato la sua idea tanto geniale e romantica da partecipare per puro amore della letteratura. Dal sito Bookcrossing.com si stampa una speciale targhetta (un libro con gambe in movimento), che viene lasciata tra le pagine del libro da abbandonare. «Buongiorno - si legge sul marchio -, leggimi e abbandonami ancora!». Chi trova il volume capisce così che quell’edizione del Profumo o di Moby Dick non è stata affatto dimenticata, ma lasciata volutamente in un posto pubblico affinché qualcun altro possa godere del piacere di leggere quel libro. La targhetta contiene la preghiera di annotare sul sito giorno e luogo del ritrovamento, con i propri commenti sull’opera. Se la catena non viene interrotta, chi ha appoggiato Il piccolo Principe sul sedile di un aereo può controllare su Internet il percorso del libro amato, di mano in mano, e leggere ciò che ne pensano sconosciuti all’altro capo del mondo.
Gli adepti del bookcrossing sono
21 mila negli Stati Uniti, quasi tremila in Canada, 390 in Australia, ma ci sono segnalazioni da decine di Paesi tra i quali Cina, Ghana, Groenlandia, Filippine, Kuwait, Perù. In Italia in queste ore ci sono 67 libri lasciati in circolazione dai bookcrosser . «Supercat» ha lasciato Il ritratto di Dorian Gray su una panchina della linea verde della metropolitana di Milano. «Tutti lo hanno letto, lo so - ha scritto in inglese sul sito - ma vale sempre la pena rileggerlo». Il giorno dopo Ferragosto il signor Genchi, un libraio di Roma, ha lasciato Non ti muovere di Margaret Mazzantini ai piedi della statua di San Francesco in piazza Carlo Felice. Due giorni fa, nello stesso luogo, Memorie di Adriano . «E’ il mio libro preferito, voglio condividere la mia passione con chiunque lo raccolga», spiega Genchi sul sito.
«Per adesso solo il
15-20 % dei libri vengono presi da qualcuno che ha accesso a Internet e decide di partecipare - spiega il fondatore, Ron Hornbaker -, ma è comunque moltissimo. Bisogna tenere conto che quasi tutti i bookcrosser hanno aderito negli ultimi cinque mesi, e che i libri viaggiano lentamente, c’è bisogno di tempo per leggerli. Comunque sono sorpreso perché la nostra comunità sta crescendo in tutti i continenti. Sul sito la privacy è assicurata, non c’è pubblicità, e tutto è gratuito. Siamo mossi solo dall’ebrezza di donare piacere». Il record dei libri «liberati» spetta a Harriet Klausner, una 50enne di Morrow, Georgia: «Ho lasciato in giro 2.074 libri, mio marito dice che il mio epitaffio sarà "letteratura o morte"».
Finora, solo il gestore di un cinema americano ha protestato per un romanzo lasciato tra le poltrone in sala, guadagnandosi centinaia di email indignate dai bookcrosser . «Tra vent’anni mio figlio potrebbe trovare per strada il mio La commedia umana di Saroyan, e leggere su Internet che cosa pensavo quando l’ho lasciato alla stazione - scrive Khan, un
30enne di Vancouver -. E’ emozionante come un messaggio in bottiglia».

 


 

Niente soldi per l’archivio De Martiis: lo Stato non l’acquista

ROMA L'hanno già definito "il caso Tartaruga": è una storia di burocrazia che ruota intorno all'archivio della galleria romana La Tartaruga. E' stato offerto all'Istituto nazionale per la grafica ma non è stato acquistato per il parere negativo del Comitato di settore del Ministero per i beni culturali: a quanto pare non perché i lavori accumulati da Plinio De Martiis siano stati giudicati di scarsa importanza, ma perché si attende la nascita della direzione generale dell'arte contemporanea. L'istituto non ha più fondi propri. E così una fetta dell'arte italiana dell'ultimo mezzo secolo rischia di finire all'estero. La galleria La Tartaruga cominciò nel 1954 e per una decina di anni Plinio De Martiis fece eseguire agli artisti in occasione delle loro mostre dei "cartelli", piccole opere realizzate da Kounellis, Schifano, Manzoni, Scarpitta. Sono in tutto 70 i lavori offerti allo Stato insieme a circa cinquemila fotografie. Prezzo concordato quattrocento milioni dopo una trattativa che è andata avanti per più di un anno.
(da "la Repubblica.it", 08.01.2001)

 


ROMA

TULLIO CATALANO

Dopo una vita dedicata interamente all'arte, il 13 novembre 1999 è morto Tullio Catalano, artista e critico romano, per circa due decenni docente di scienze delle comunicazioni all'Accademia di Belle Arti dell'Aquila.
Nato a Roma nel 1944 e già pittore giovanissimo, dal finire degli anni Sessanta Catalano raccolse tutti i fermenti culturali più significativi sia in lucide pagine di critica che nello spazio della galleria Gap. Acuto osservatore dei fenomeni estetici e partecipe delle prassi artistiche non meno che delle problematiche sociali, ben presto condivise con altri autori l'idea di un'arte non riducibile a una faccenda privata. La conseguente costituzione degli "Uffici per l'Immaginazione Preventiva" favorì, nel corso degli anni successivi, il prodursi di una lunga serie di situazioni e iniziative sempre tese ad interrogare fattivamente i nessi dell'arte e degli artisti con le altre categorie del reale. Un cammino complesso, perseguito da Tullio pur senza aver mai rinunciato a praticare la pittura con una sapiente passione per il colore e il segno impudente, spesso vergato asciutto su tele che avrebbe preferito sempre grandi se non enormi. Cammino personale e tuttavia mai solitario perché mai individuale, condotto fino all'ultimo con una purezza e spontaneità testimoniata anche dal rapporto generoso, umano e intellettuale che ha saputo stabilire con i suoi giovani allievi e mantenere vivo persino in questi suoi ultimi, difficili anni di vita.


7 luglio 2000

Il romanzo storico di Ernesto Ferrero conquista il più prestigioso premio letterario italiano

 "N." come Napoleone vince lo Strega

ROMA - Allo Strega vince Napoleone. Intitolato "N." ed edito da Einaudi (420 pagine, 32 mila lire), il secondo romanzo di Ernesto Ferrero (che esce a 20 anni dal primo, "Cervo bianco") dedicato all'esilio del gran condottiero all'isola d'Elba si aggiudica il più famoso premio letterario d'Italia.

La sfida all'ultimo voto è stata tra Fosco Maraini (Mondadori) e quello che poi è risultato il vincitore. "Mai come quest'anno il verdetto finale appare incerto, sul filo del rasoio", affermava Annamaria Rimoaldi, segretaria dello Strega. "Questa incertezza dimostra - ha aggiunto - che il nostro premio non si fabbrica a tavolino, come alcuni maliziosi insinuano, ma vive del confronto tra i 400 giurati". Della cinquina dei finalisti facevano parte anche Andrea Canobbio, in corsa con "Indivisibili", poi Luca Doninelli con "La nuova era" (Garzanti) e "La via della Cina" di Renata Pisu (Sperling & Kupfer).

Il libro vincitore tratta dei famosi 300 giorni che il Còrso, prima di fuggire e tornare in Francia, passò sull'isola toscana, organizzandola come un piccolo regno privato, sono visti attraverso gli occhi di un letterato locale che Napoleone nomina suo bibliotecario, Martino Acquabona, il quale ha quindi la possibilità di frequentarlo da vicino, conoscerlo, fare progetti di grandezza e sogni velleitari, come quello di ucciderlo, di eliminare il "tiranno".

E il libro si apre proprio con questa scena, lasciando tutto in sospeso sino alla sorpresa finale, in un continuo confronto a due. Ferrero racconta così di Napoleone con gusto e ironia, ma anche con una dovizia di particolari e invenzioni curiose, attento alla sua corte, ai suoi fidi, costretto a frequentare i piccoli notabili e commercianti di un isola che vive comunque come una prigione, il tutto con in mente un pensiero che condiziona ogni cosa: "Penso con sgomento che le isole non hanno altro domani che la partenza".


16 settembre 2000
Venezia, la cerimonia di premiazione sotto la pioggia battente
Riconoscimento alla carriera per Franco Lucentini


 Premio Campiello: vince Sandro Veronesi
 Il suo romanzo "La forza del passato" batte "La gallina volante" di Paola Mastrocola

 
VENEZIA - Il romanzo "La forza del passato" di Sandro Veronesi (editore Bompiani) ha vinto sotto la pioggia e gli ombrelli il trentottesimo premio Campiello a distanza di un mese dal successo ottenuto con lo stesso libro al premio Viareggio. Un improvviso acquazzone ha costretto il pubblico sotto i portici del cortile di Palazzo Ducale, mentre i concorrenti hanno dovuto ritirare sul palco il premio Selezione Campiello sotto l'ombrello, perchè la registrazione della trasmissione tv (in onda in differita alle 22.30 su Raidue) non poteva essere interotta.

E' stata una gara bagnatissima, perchè l'acqua, sempre più forte ha condizionato tutto e reso veloce la serata, di cui è saltata la parte spettacolare, tranne la prima esibizione di Edoardo Bennato. Sandro Veronesi ha avuto 91 dei 272 voti validi. Seconda si è piazzata Paola Mastrocola con "La gallina volante" (Guanda) con 68 voti, e di seguito Sergio Ferrero con "Le farfalle di Voltaire" (Mondadori) con 48 voti, Vito Bruno con "Mare e mare" con 47 voti (E/O) e infine Franco Scaglia con "Margherita vuole il regno" (Baldini & Castoldi) con 18 voti.

I finalisti, scelti a giugno da una giuria presieduta dal designer Giorgetto Giugiaro, sono stati votati da un'altra giuria, in cui c'era anche Massimiliano Rosolino, nuotatore medaglia d'argento a Sydney, e poi Carolina Morace. Quindi attori come Alessandro Gassman e Luca Zingaretti, la cantante Carmen Consoli, personaggi della tv come Alessia Marcuzzi e Teo Mammucari. Tra i politici figura solo Ottaviano Del Turco.

La serata, condotta da Maria Grazia Capulli e Guido Barendson, si è aperta con la consegna del premio alla carriera a Franco Lucentini. Lo scrittore ha ricordato come, tra sei anni, si dovrà pensare a dare il premio al suo "socio" Carlo Fruttero, "che appunto di sei anni è più giovane e nel frattempo completerà anche lui la sua carriera".


La forza del passato
Bompiani

Sandro Veronesi è nato a Firenze nel 1959 e vive a Roma. Ha pubblicato: Per dove parte questo treno allegro (1988); Gli sfiorati (1990); Cronache italiane (1992); Occhio per occhio. La pena di morte in quattro storie (1992); Venite venite B-52 (1995); Live (1996).